Motta Filocastro

Origini:

Motta Filocastro, conosciuta per le sue antiche origini, risale ai secoli VII e V a.C., quando i Greci di Locri si stabilirono lungo la costa tirrenica della Calabria. I locresi si insediarono in varie località, tra cui Ipponion, Medma o Mesma, Metauros e forse Tropeia, oltre a diversi villaggi, tra cui Motta.

Intorno al 300 a.C., le colonie greche furono occupate dai Bruzi, un popolo di pastori di origine lucana che si estese fino all’Aspromonte, nonostante gli sforzi di Alessandro d’Epiro e Agatocle di Siracusa per contrastarli. I conflitti tra i Bruzi e i romani attirarono l’attenzione di quest’ultimi, che compresero l’importanza strategica di stabilirsi lungo le coste del sud per controllare i Bruzi e le loro alleanze nel bacino del Mediterraneo. Durante questo periodo, Annibale, il comandante cartaginese, soggiornò nella regione tra il 206 e il 203 a.C., e fece costruire un edificio pubblico chiamato “Manus Africa” a sud di Motta.

Gli abitanti locali e i Cartaginesi rimasti dopo la partenza di Annibale si riunirono intorno a questo edificio e costruirono le loro abitazioni, dando origine a una città chiamata Mafrica. Tuttavia, dopo la vittoria sui Bruzi e la distruzione di Cartagine, Roma inflisse una severa punizione ai Bruzi, inclusa Mafrica.

Nel 73 a.C., quando Spartaco, il famoso gladiatore, guidò una ribellione di schiavi contro Roma e si rifugiò nell’Italia meridionale, gli abitanti di Mafrica approfittarono dell’occasione per ribellarsi contro il dominio romano. Tuttavia, nel 71 a.C., Spartaco fu sconfitto e gli schiavi ribelli furono crocifissi lungo le vie principali. La città di Mafrica fu completamente distrutta, ma parte dei suoi abitanti trovò rifugio nel villaggio di Motta, che era rimasto neutrale durante la ribellione.

Motta in epoca Romana

Il villaggio di Motta crebbe in dimensioni e importanza grazie alla sua vicinanza alla via “Popilia” o “Annea“, costruita nel 128 a.C. dai consoli Publio Popilio e Annius Rufus. Questa strada, che si estendeva dalla via Appia, partiva da Capua e attraversava Cosenza, Nicastro, Vibo Valentia, raggiungeva Nicotera attraverso il versante interno del Monte Poro e terminava a Catona, da dove partiva il “trajectus” per la Sicilia. Questa strada, unica nel sud, svolse un ruolo significativo nello sviluppo economico e sociale lungo la costa tirrenica, e Motta partecipò attivamente al commercio dell’epoca.

Durante l’Impero Romano, la Calabria occupava una posizione periferica e il commercio decadde, portando l’economia a basarsi principalmente sull’agricoltura e l’allevamento.

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C. a causa delle invasioni barbariche e l’espulsione dei Goti nel 553 d.C., l’Italia passò sotto il controllo dell’Imperatore d’Oriente, che governava attraverso un magistrato residente a Ravenna chiamato “esarca”. La provincia in cui si trovava Motta Filocastro era sotto il comando di un duca nominato dall’esarca Longino.

Il villaggio assunse l’aspetto di un vero e proprio centro urbano alla fine del XVI secolo, diventando molto popolato tra il 946 e il 953. Durante quel periodo, gli abitanti di Nicotera si trasferirono in massa verso l’entroterra a causa delle incursioni dei pirati semiti provenienti dall’Arabia e dall’Africa (saraceni).

In precedenza, nella zona erano giunti i primi monaci orientali, costretti ad abbandonare la Sicilia, dove si erano stabiliti due secoli prima, a causa dell’occupazione araba. Nella seconda metà dell’XI secolo, i Normanni arrivarono nel Sud, un popolo di navigatori originari della Scandinavia e della Danimarca, che sottrasse l’intero Meridione al dominio dei Bizantini indifesi. Iniziò così un periodo di lavoro e prosperità per il Mezzogiorno, e le terre furono divise tra i fratelli Roberto, detto il Guiscardo, e Ruggero Bosso, figli di Tancredi d’Altavilla. Roberto fece ricostruire la città di Nicotera, che era stata incendiata dai Saraceni.

Motta dai Normanni agli Aragonesi Spagnoli

Ruggero, un influente conte normanno, scelse Mileto come capitale della Contea di Calabria nel 1081. Egli rese la città importante dotandola di una sede episcopale che fu trasferita da Vibo Valentia. Inoltre, fece costruire un monastero dedicato a San Nicola vicino all’antica Mafrica. Attorno a questo monastero, i monaci raccolsero coloni che diedero origine al villaggio di San Nicola de Legistis. Ruggero dimorava gran parte dell’anno a Motta Filocastro, dove fece costruire un castello imponente con dodici torri, attratto dalla bellezza del luogo e dalle sue solide difese.

La sua influenza politica si estendeva a tutta l’Europa e il suo stato era ricco e prospero. Le sue corti ospitavano funzionari civili, dignitari ecclesiastici e ambasciatori provenienti da occidente e oriente. Nel 1097, Papa Urbano II visitò personalmente la Calabria con l’obiettivo di riformare le pratiche della Chiesa e visitò i castelli di Mileto e Motta Filocastro. Ruggero morì a Mileto nel 1101 e fu sepolto lì.

Nel 1130, Ruggero II riuscì a unire i domini normanni dell’Italia Meridionale e della Sicilia, fondando il Regno di Sicilia con Palermo come capitale.

Il periodo normanno giunse al termine con il matrimonio di Costanza d’Altavilla, ultima erede della dinastia normanna, con Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa. Questo matrimonio portò all’unione del Regno di Sicilia con il Regno di Germania e il Regno d’Italia sotto la dinastia sveva. L’imperatore Federico II, figlio di Enrico VI e Costanza d’Altavilla, risiedeva a Palermo e portò al Meridione uno splendore culturale e una maggiore libertà.

Durante questo periodo, Motta Filocastro si organizzò come una repubblica autonoma. La vita civile e la giustizia erano gestite da nobili e da 24 “Cavalieri di cappa e spada” che si riunivano nel “Tocco” per discutere questioni importanti. Il luogo venne adornato con sedili di marmo importati da Napoli. Nel 1260, la situazione storica cambiò quando i principali baroni calabresi, come i Ruffo, i Morano e i De Amicis, aderirono al guelfismo e si ribellarono contro gli Svevi per ottenere maggior potere sui feudi e reprimere i desideri di libertà e autonomia.

Con l’avvento del guelfismo e la morte di Manfredi, figlio di Federico II, ucciso da Carlo D’Angiò nel 1266, gli Angioini francesi presero il controllo della regione meridionale e il caos e la divisione civile si diffusero nuovamente nel Meridione. Corradino di Svevia, giovane nipote di Federico II e legittimo pretendente al trono, scese in Italia dalla Germania per difendere gli interessi imperiali. Molte città della Sicilia e della Calabria si ribellarono in suo favore. Motta Filocastro e Nicotera si opposero ai funzionari angioini, guidati da Rinaldo Ipsierò di Nicotera. Le truppe di Corradino e Carlo D’Angiò si scontrarono a Tagliacozzo negli Abruzzi nel 1268, ma Corradino, sedicenne, fu catturato e decapitato nella piazza del Mercato di Napoli. La repressione in Calabria fu brutale e solo Amantea oppose una strenua resistenza, seppur per un breve periodo. Da quel momento, i piccoli centri, i castelli e le terre furono sottomessi a poche famiglie feudali che sfruttarono le popolazioni locali e gestirono la giustizia a loro piacimento.

In questo nuovo sistema politico-amministrativo oppressivo, Motta Filocastro cadde sotto il dominio di Nanno Scaglione, membro della famiglia dei Normanni, che ottenne l’investitura dalla moglie Giovanna. Nel 1418, Francesco Sforza, duca di Milano, sposò Polissena Ruffo, vedova di Giacomo Mailly, e ricevette in dote i feudi di Motta Filocastro, Nicotera, Calimera, Policastro, Rossano, Seminara, Briatico e Mesiano come erede di Ceccarella di San Severino. Questa vasta proprietà generava un reddito annuo di ventimila ducati, ma la popolazione soffriva la fame. Polissena morì avvelenata da un assassino sconosciuto nel 1442.

Dopo Polissena, suo figlio Marino Marzano ereditò i feudi, essendo sposato con Eleonora D’Aragona, figlia illegittima del re Alfonso. Durante questo periodo, si verificarono eventi storici che portarono all’espulsione degli Angioini francesi e all’ascesa degli Aragonesi spagnoli nel Sud Italia. Gli Spagnoli cercarono inizialmente di limitare il potere oppressivo dei signori feudali e, in parte grazie all’opera del re Ferrante, riuscirono a favorire una certa ripresa economica.

Dalla coltivazione dei Gelsi ai primi Briganti

A Motta, si sviluppò una fiorente industria di coltivazione dei gelsi e allevamento dei bachi da seta. Tuttavia, questa prosperità fu di breve durata: dopo la morte di Ferrante, il potere dei baroni riprese in maniera ancora più oppressiva, mettendo fine alla crescita dell’attività sericicola.

Il 20 novembre 1494, Re Alfonso II confermò Francesco di San Giorgio di Calimera e i suoi discendenti nel possesso di una serie di terre chiamate “lo feudo de’ Paterniti”, tra cui Motta Filocastro, Mesiano, San Calogero e Calimera. Questo atto reale rafforzò la posizione di Francesco di San Giorgio e contribuì a stabilizzare la situazione politica nella regione.

Nel 1506, la famiglia Calatacuth cedette il feudo di Motta a Ettore Pignatelli, duca di Monteleone, in cambio di altre proprietà. Ettore Pignatelli, un influente personaggio con forti legami con il re Federico di Napoli, ricoprì importanti ruoli di consigliere e luogotenente del Gran Camerlengo del Regno. Nel 1517, Carlo V lo nominò viceré di Sicilia. L’ascesa dei Pignatelli al potere segnò un lungo periodo di dominio nella regione di Motta, con l’eccezione di un breve periodo in cui i Caracciolo presero temporaneamente il controllo. Durante il governo dei Pignatelli, furono promosse la costruzione di chiese e il Convento dei Cappuccini, dimostrando un impegno per la collaborazione e il benessere della comunità.

Alla fine del XVII secolo, Motta aveva sviluppato un nucleo urbano di notevole importanza. La città era dotata di un ospedale che forniva assistenza ai poveri e ai pellegrini, e aveva giurisdizione su diversi villaggi circostanti, tra cui Careno (Caroni), Mandarono (Mandaradoni), San Nicolo (San Nicola), Limbadi (Limbadi), San Martino, Cassinadi, Branconi e Mambrici (questi ultimi andati successivamente distrutti). Per garantire la sicurezza, il centro di Motta era circondato da robuste mura difensive, e ogni sera venivano chiuse tre grandi porte, tra cui la maestosa “porta dell’Olmo”, per proteggere i signori che risiedevano nel castello (la Corte) e i cittadini.

I Pignatelli organizzarono un coraggioso gruppo di terrazzani e balestrieri per difendere la comunità e le città limitrofe. Nel 1638, durante l’invasione turca di Nicotera, il Mastro di Campo Giovanni Tommaso Blanch ordinò a Mesiano e Filocastro di andare in aiuto della città, dimostrando il loro impegno nella difesa del territorio.

In precedenza, nel 1599, il piccolo esercito di Motta aveva sconfitto una banda di briganti guidata da Sciarra, un mottese che minacciava la sicurezza delle terre locali in protesta contro il governo centrale. Questa vittoria contribuì a rafforzare la stabilità e la sicurezza della regione.

In quel periodo, il Marafioti, un autorevole storico del tempo, descrisse Motta Filocastro come “una città molto nobile, i cui cittadini, sia nobili che plebei, vivono in modo più civile che in altre località circostanti. La sua posizione è molto gradevole ed è abbondante di tutto ciò che è necessario per la vita umana.” Anche il Barrio, nell’opera “De situ et antiquitate Calabriae”, scrisse: “Qui si producono sete, vino, olio e i migliori frutti”.

Motta nel 1799 fu dichiarato Comune

Durante il periodo dell’ordinamento amministrativo della Repubblica Partenopea nel 1799, Motta Filocastro acquisì lo status di comune e fu incluso nel Cantone di Tropea. Tuttavia, con l’ascesa di Napoleone Bonaparte al potere, il Regno di Napoli passò sotto il controllo di suo fratello Giuseppe, il quale dovette affrontare una guerriglia da parte dei sostenitori della Casa di Borbone.

Nel 1806, Giuseppe Bonaparte abolì il sistema feudale, portando a importanti cambiamenti anche a Motta. Con l’entrata in vigore della legge del 19 gennaio 1807, il paese divenne un “Luogo”, ossia una comunità amministrata dal governo di Nicotera. Nel 1808, Napoleone conquistò il Portogallo e la Spagna, nominando il fratello Giuseppe come Re di Spagna e affidando il Regno di Napoli al cognato Gioacchino Murat.

In seguito a un riordino amministrativo avvenuto il 4 maggio 1811, che istituiva nuovi comuni e circondari, Motta Filocastro fu confermata sotto la giurisdizione di Nicotera. Tuttavia, l’influenza di Napoleone cominciò a declinare e la sconfitta nella battaglia di Waterloo pose fine al suo dominio. Di conseguenza, Gioacchino Murat, per mantenere il trono, tradì Napoleone e si alleò con gli Austriaci. Dopo un fallimentare tentativo di riconquistare il trono, Murat fu catturato, processato e giustiziato a Pizzo Calabro il 13 ottobre 1815.

I Borboni furono quindi restaurati nel Regno delle Due Sicilie, con Ferdinando IV come re. Inizialmente, Ferdinando mantenne gran parte delle disposizioni introdotte durante il periodo napoleonico. Durante il periodo municipale, che ebbe inizio nel 1799, la vita cittadina a Motta era molto attiva. Al mercato si vendevano prodotti locali e gli artigiani lavoravano con maestria nelle loro botteghe di falegnameria, fabbro e tessitura. Questi manufatti raggiungevano anche altre regioni.

Con il passare degli anni, Limbadi, grazie alla sua posizione pianeggiante, iniziò a crescere e gli abitanti si trasferirono dalle capanne sparse fuori dal centro verso le case vicine dei nobili, trasformando le pianure in campi fertili. La popolazione di Limbadi crebbe progressivamente, superando quella di Motta Filocastro, che invece aveva difficoltà ad espandersi a causa della sua posizione geografica. Nel 1830, su iniziativa di Francesco I di Borbone, fu decretato che Limbadi sarebbe diventata la sede comunale a partire dal 1º gennaio 1830. L’ultimo sindaco di Motta fu Antonio Barletta, mentre il primo capogruppo di Limbadi fu Vincenzo Vinci. Questa decisione fu considerata un tradimento e un’ingiustizia dai cittadini di Motta.

Durante il processo di unificazione dell’Italia, i cittadini di Motta Filocastro parteciparono attivamente agli eventi e manifestarono il loro sostegno a Garibaldi quando l’eroe nazionale fece tappa a Nicotera il 26 agosto 1860. Il 21 ottobre 1860 si tenne un plebiscito sull’annessione dell’ex Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia, che stava emergendo sotto la Casa di Savoia. Motta Filocastro e l’intero comune di Limbadi votarono all’unanimità a favore dell’annessione.

Il periodo successivo a questo importante avvenimento fu caratterizzato da un aumento del brigantaggio, che aveva avuto inizio per motivi politici nel 1799 e fu fomentato dai sostenitori dei Borboni che non accettavano la perdita del loro regno. Francesco II, rifugiato a Roma e protetto dallo Stato Pontificio e dalla Francia, organizzò una congiura che coinvolse tutto il Sud Italia. I briganti, tra cui giovani renitenti alla leva, disertori, ex soldati borbonici, reazionari e cittadini insoddisfatti per le nuove tasse creando scontri.

La repressione del brigantaggio fu dura e spietata, con esecuzioni sommarie e l’esposizione pubblica delle teste dei briganti uccisi. Anche le teste dei briganti di Motta vennero esposte alla porta dell’Olmo. Nel 1865, il fenomeno del brigantaggio scomparve, almeno nelle forme più eclatanti.

Video – Motta Filocastro

Tour 3D – Motta Filocastro

Antichi Mulini a Motta

La Grotta di Tavulari

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